È morto Aldo Biscardi, inventò un modo di far tv: il "biscardismo"

Aveva 86 anni. Nella sua lunga carriera ha creato una format, 'Il Processo', che gli sopravvive. Ha visto la vittoria di una delle sue battaglie, la moviola in campo

Non sono molti quelli che possono raccontare di aver inventato un genere tv incancellabile. Aldo Biscardi, morto oggi a Roma a 86 anni, poteva. Il calcio parlato in tv per come lo conosciamo, in centinaia di trasmissioni, lo ha inventato lui ed era il 1980. Quando tre anni dopo prese direttamente in mano la conduzione del Processo impose anche la maschera di se stesso, caotico, disattento&felice nell'esposizione in lingua italiana, la dizione irripetibile, la voglia mostruosa di giocare al calcio parlato, appunto.

Il Processo, in quel decennio, fu clamoroso, forse il momento più importante di tutta la settimana calcistica, partite comprese: aveva gli ospiti top, collaboratori fissi da leggenda (Gianni Brera, per dire), più personaggi pittoreschi e che davano linfa assoluta al programma – Costantino Rozzi, per esempio – ma poi passava anche Giulio Andreotti e decideva in trasmissione i destini futuri di Falcao. Biscardi intanto lanciava alla grandissima il suo personaggio, in pratica assimilava le decine di imitazioni di cui era vittima e se ne rafforzava, finché un giorno girò quello spot del corso di lingua inglese (“Denghiù”) parodiando se stesso e in parecchi iniziarono a dargli del genio. E da lì a un passo, la trasformazione in categoria, il biscardismo, la biscardata, a forza di sguub e di “eccipuo” (copyright Michele Serra, ma chi può escludere che il rosso l’abbia detto davvero per primo?).

Dentro un’aneddotica sterminata, una sorta di Blob vivente di se stesso, Biscardi è stato per decenni l’autobiografia visibile del calcio italiano e dei suoi tifosi. Con tecniche televisive da urlo (magari gli scappò e fu un infortunio, ma cosa c’era di più perfetto del suo “Non parlate tutti insieme, massimo due o tre per volta”?), tutto rigorosamente live e in qualche modo sorvegliato passo dopo passo. Dovette cedere solo quella volta, era il 2000, in cui il terzo giorno gli arbitri si arrabbiarono davvero e decisero una denuncia pesante, lui si presentò col suo avvocato e tentando di farlo alla chetichella piazzò una memoria difensiva il cui succo era “Guardate che qui in trasmissione non facciamo sul serio, è uno show tutto inventato per divertire e quindi non c’è niente di penalmente rilevante”. Fino alla fine, oggettiva, di tutto che coincise con Calciopoli e alcune intercettazioni in cui dava corda, sempre alla sua maniera, a Luciano Moggi che dispensava consigli stringenti sul programma e sulla moviola. Da lì un declino fatto di peregrinazioni per piccole tv private con l’obiettivo di salvare il marchio Processo di Biscardi (va ancora in onda, si chiama così e lo curano i suoi figli) e con la battaglia a testa bassa sulla moviola in campo come centro di gravità permanente. Se n'è andato con la moviola effettivamente in campo, ha fatto in tempo a definire il Var “Un inno alla democrazia” e non c’è sintesi migliore di tutto quanto.            

Repubblica.it

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